DOMENICA, 2 FEBBRAIO 2020
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
ANNO A – 2 FEBBRAIO 2020
PRIMA LETTURA – DAL LIBRO DEL PROFETA MALACHIA (Ml 3,1- 4) – Così dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
Parola di Dio.
Iniziamo con qualche nota di carettere storico: Malachia svolse il suo ministerio tra il 440 e il 400 aC. Malachia è un profeta che oggi non sarebbe molto gradito poiché il suo è un messaggio ‘pesante’: scrive con uno stile diretto e semplice, senza peli sulla lingua e senza il politicamento corretto. Dice, infatti: Io non prendo alcun piacere in voi … voi mi trattate con disprezzo… . Sostanzialmente annuncia che il Signore purificherà il tempio come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Il Signore purificherà i figli di Levi perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.
Salmo Responsoriale – Dal Sal 23 (24) – Rit: Vieni, Signore, nel tuo tempio santo. – Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria. Rit. – Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso, il Signore valoroso in battaglia.Rit. – Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria. Rit. Chi è mai questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria. Rit.
Il salmista aggiunge che il Signore stesso viene a prendere possesso del Tempio con potenza.
DAL VANGELO DI SAN LUCA (Lc 2,22-40). Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore- come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore.
Il Vangelo di Luca mette insieme due visioni: quella del Levitico 12, 2-8 che prescriveva l’obbligo della purità per la madre e l’ottemperanza di Numeri 18,14-18: l’offerta del primogenito maschio al Signore. Infatti, Giuseppe e Maria si portano a Gerusalemme per adempiere il comando dell’offerta sacra, che teneva conto delle condizioni economiche della famiglia (Giuseppe e Maria, essendo in condizioni di precarietà,offrono le due tortore o le due colombe).
Consentitemi una considerazione non marginale sulla vita di Gesù, che non è una digressione: a pochi giorni dalla nascita si nota che la famiglia è sostanzialmente povera, mentre – all’inizio dell’apostolato (vedi Mt. 13,55) – Gesù, allorché ritorna a Nazaret come annunciatore del Vangelo, è riconosciuto figlio del carpentiere (τέκτονος), vale a dire, non un semplice falegname, ma figlio di un impresario, di uno cioè che si occupava dell’intero settore riguardante i lavori in legno e ferro, una professione artigianale per niente povera. Dunque, possiamo lecitamente supporre che l’apporto fornito da Gesù alla famiglia sia stato determinante per il passaggio da una condizione precaria ad una agiata. Ciò ci fa dedurre che Lui per primo ha lasciato famiglia e lavoro, affetti e sicurezza, per mettersi totalmente al servizio di Dio e la stessa cosa chiede ai primi quattro discepoli, come abbiamo visto nel Vangelo di domenica scorsa. Torniamo al testo.
Nella circostanza della Presentazione, il vangelo evidenzia due figure, il vecchio Simeone, da non confondere con il sacerdote officiante, è un semplice assiduo frequentatore del tempio, il quale aveva avuto una locuzione secondo cui non sarebbe morto senza vedere il Messia, e l’anziana Anna, la quale lodava Dio e parlava del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Da notare il repentino e stridente contrasto nell’atteggiamento di Simeone: prima loda in modo sperticato il Bambino, benedice Maria descrivendole anche la missione del Bambino, poi – in modo brusco e rivolto solo a Maria – profetizza: anche a te una spada trafiggerà l’anima. Una semplice annotazione filologica: quale spada? Il gladio romano che i soldati portavano alla cintola? Nient’affatto: il termine greco usato è ‘ronfaia’ (ῥομφαία), cioè uno spadone filisteo, lungo quasi un metro e mezzo, che non poteva portarsi alla cintola, bensì tanto pesante che si appoggiava all’omero. E’ questo spadone che spaccherà l’anima a Maria.
SECONDA LETTURA – DALLA LETTERA AGLI EBREI(Eb 2, 14-18) – Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova. Parola di Dio.
La Lettera agli Ebrei spiega la salvezza, consiste nel ridurre all’impotenza Colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo; il mezzo è mediante l’offerta di sè alla morte, con questo mezzo non preventivato dal demonio, lui . che si crede “intelligente” (ah,ah,ah!) – è stato beffato dall’Amore di Dio per noi. Gesù Cristo, infatti, mediante il sacrifico della croce, lo ha ridotto all’impotenza e ha liberato così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
MESSAGGIO E ANNUNCIO
Bene, carissima/o, a te che – spinto da Dio – stai leggendo questo povero commento, desidero confidarti qualcosa di personale. Oggi è stato proclamato il Kérygma, il cuore dell’annuncio cristiano. Questa parola, infatti, comprende ha tre dimensioni: una personale, una ecclesiale ed una cosmica e antropologica.
A livello personale, la prima lettura, il testo di Malachia, ci rende consapevoli che noi siamo il tempio che Dio vuol purificare. Gesù è venuto per questo. Abbiamo bisogno di essere lavati con il fuoco del fonditore e con la lisciva dei lavandai e questo è la propedeutica, necessaria e imprescindibile conversione. Il nostro tempio è il corpo, composto da psiche, soma, sentimenti e anima spirituale. Ma l’anima purificata mediante la Riconciliazione ha bisogno anche di possedere la salvezza, che si ottiene mediante l’Eucarestia, cioè con l’incorporazione a Cristo. Dicendo Amen alla comunione, noi diciamo sì al sacrificio di Gesù Cristo, diciamo che anche noi vogliamo entrare nella morte e possedere la vittoria, che è l’amore dei nemici. Infatti, prima di comunicarci, diciamo il Padre Nostro che contiene: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Questa è la vittoria di Gesù Cristo sulla morte!
Personalmente, sono stato, sono e sarò sempre grato al Cammino Neocatecumenale, che intrapresi a 28 anni, cioè 42 anni fa, quand’ero un giovane sacerdote disperato, ingannato dai venditori di aberranti fumi filosofici, fui intrappolato anch’io. Fu un periodo davvero nero. Ebbene, conoscevo un’infinità di preti, frati, suore e monsignori vari, brave persone, ma quasi tutti senza la vera fede, per cui – dal punto di vista spirituale – risultavano assolutamente carenti. Costoro, certo che svolgevano il proprio dovere pastorale, ma solo per dovere, non per fede, pieni di pratiche religiose, ma quasi tutte buttate lì, fatte per mestiere, senza passione e senza cuore. I soli che mi hanno chiarito la dinamica della salvezza sono stati quattro fratelli, quasi presi dalla strada, che mi hanno illustrato per filo e per segno il cuore della Verità: la VITTORIA DI CRISTO SULLA PAURA DELLA MORTE quella paura di cui il Demonio è il detentore imperioso. Dopo la loro predicazione, sono rinato ed ho apprezzato il dono del sacerdozio ministeriale e dei sacramenti.
A livello ecclesiale. Tanta teologia e filosofia; tante lezioni, studi e conferenze; migliaia e migliaia di libri, etc. ma nessuno che annunci il Vangelo, cioè la vittoria di Gesù sulla morte. Solo fumo, parole, frasi fatte, luoghi comuni, stanchevoli e pietosi predicozzi, diktat morali vaneggiamenti, formalismi fatui, ritualismi vuoti etc. e mai qualcuno che spieghi il potere demoniaco di terrorizzare della paura della morte. Sono più di 50 anni che parliamo di evangelizzazione: c’è chi fa spettacolo, chi chitarrate, chi conferenze, e non si trova chi toglie la spina dal cuore degli uomini: la paura della morte, con cui satana stritola le anime. Il vero e unico annuncio del Vangelo è che Gesù Cristo è il solo che ha vinto la morte abbracciando la Croce; entrando Egli stesso nella morte, ha rotto gli artigli al demonio e ci ha donato la Risurrezione. La Chiesa proclama questo sì in tutte le S. Messe, ma solo come recita rituale, non nella predicazione e nella prassi. Risorgere è il potere di amare. Chi entra nell’amore vive ed è capace di donare pace e speranza. Non ho molto spazio, ma su questo ritorneremo certamente. Davanti alla propria miseria, alla propria vigliaccheria e alla paura di passare all’altro per amarlo ci blocchiamo, diventiamo come mummie; viene fuori la nostra incapacità di compiere il passo, ci chiudiamo nell’egoismo e nell’orgoglio e ci lasciamo convincere che al male si risponde con il male, all’odio con l’odio e così via. Questo è il cuore del problema dell’uomo e questo è il punto d’innesto dell’Annuncio cristiano. Questo sito è nato per questo.
La cosa ha ovviamente anche un risvolto a livello cosmico e antropologico: se siamo immersi nel male, se la vita è invivibile è perché siamo vittime della paura di affogare nella morte e così tutti cerchiamo surrogati della felicità: soldi sesso e successo (le tre S). E il tanto proclamato progresso non ha tolto le manette all’uomo, basta pensare alla droga, che ormai ci ha invasi come un mare: quanti,soprattutto giovani, corrrono a sballarsi, pensando di trovare gioia, brio e passione in tale terribile inganno. Alla fine, ci troviamo con solo con un maniacale sviluppo militare che ha bisogno di guerre per smaltire gli arsenali accumulati, e con un cumulo dipendenze e frenesie varie.
Celebrando oggi la XXXV Giornata per la Vita, questo discorso è ancora più calzante perché non si può non constatare che la ricetta dell’aborto facile e comodo è aberrante. E anche qui si manifesta la paura della morte: …come si fa? Siamo troppi, non ce la facciamo, etc. etc. . Tutte motivazioni dettate dalla paura; sono le ragioni di chi non crede nella potenza vivificante di Gesù.
Oggi, che è la candelora, chi crede veramente in Gesù deve mostrare che CRISTO è la vera e unica Luce del mondo. Carissima/o, aiuta anche tu la Chiesa a svelare l’inganno. Se lo fai, oggi è un giorno davvero santo. Ti propongo due testimonianze: una di Kobe Briant, il gigante del basket, deceduto in settimana, e l’altra di una suora francese che dall’arte divinitaria e spiritistica è passata alla testimonianza impressionante di Gesù e di Maria. Per favore, trovati un’oretta e ascolta. Mi ringrazierai.
Ricordo di Kobe Bryant. Campione. Cattolico
dal Blog di Aldo Maria Valli
Kobe Bryant aveva un difetto: tifava Milan. Per me, interista, un peccato grave. Ma, tutto sommato, gliel’avevo perdonato. D’altra parte, quando uno gioca a basket così bene, come si fa a non perdonargli tutto?
Il tifo per il Milan era uno dei retaggi della sua italianità. Siccome il papà di Kobe, Joe, giocò diversi anni da noi, in serie A2 e A1, Kobe, al seguito della famiglia, visse in Italia dal 1984 al 1991, cioè dai sei a tredici anni, e proprio qui imparò benissimo l’italiano e anche a diventare un vero giocatore di pallacanestro, come lui stesso raccontava. Siccome era molto alto, spiegava, in America lo avrebbero messo sotto canestro, per giocare da “lungo”; qui invece gli fecero fare un po’ di tutto, anche il playmaker, e fu così che acquisì una formidabile visione di gioco, che in campo gli permetteva di intuire in anticipo come si sarebbe sviluppata l’azione.
Ricordo di aver visto giocare papà Joe nelle squadre di Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Non era niente male. E poi si portava appresso quel bimbetto che, nell’intervallo, suscitava gli applausi del pubblico mettendosi a palleggiare e a tirare a canestro.
Famiglia cattolica, quella dei Bryant, come Kobe non ha mai nascosto. E matrimonio cattolico quello di Kobe con Vanessa, nella chiesa di St. Edward a Dana Point, California del Sud, nel 2001.
Una storia d’amore che però, a un certo punto, sembra naufragare. Nel 2003 per Kobe arriva la terribile accusa di aver stuprato una donna nel Colorado, dove il giocatore si trovava per farsi curare un ginocchio. Kobe ammette il rapporto sessuale, ma nega lo stupro. Sono momenti drammatici. Tutto sembra crollare. Gli sponsor abbandonano Kobe, ma soprattutto è la famiglia a rischiare di andare in pezzi.
È allora che Kobe incontra un bravo prete. Incontro provvidenziale, come racconterà più volte. Il sacerdote gli raccomanda di mettersi nelle mani del Signore. Se Dio ti mette alla prova, ti dà anche la forza di superarla.
Kobe si scusa pubblicamente e ammette l’infedeltà. Poi l’accusa di stupro cade. Ma la tenuta della famiglia è a forte rischio. Nel 2011, forse a causa dello stress, Vanessa perde il bambino che sta aspettando. La crisi sembra irreparabile, c’è la separazione, si arriva sull’orlo del divorzio. Tuttavia la fede e la voglia di ricominciare sono più forti. E la frattura è ricomposta.
Dal matrimonio nascono quattro figlie: Natalia Diamante, Gianna Maria, Bianka Bella e Capri Kobe, nata nel giugno dell’anno scorso.
Gianna Maria, tredici anni, detta GiGi, morta con papà con Kobe sull’elicottero precipitato, era già una promessa del basket e sognava di giocare un giorno per l’Università del Connecticut.
Due delle bambine, Bianka e Capri, sono nate dopo la crisi familiare. E in occasione dell’ultima festa della mamma Kobe volle ringraziare così Vanessa: “Ti vogliamo bene e ti ringraziamo per tutto quello che fai per la nostra famiglia. Tu sei il fondamento di tutto. Ti amo, regina”.
Quanto ha contato la fede cattolica per Kobe? Tantissimo. Kobe e Vanessa non hanno mai smesso di frequentare la parrocchia a Orange County, in California. E Kobe diceva: “Sono cattolico, sono cresciuto come cattolico, i miei figli sono cattolici. Durante il processo, l’unica cosa che mi ha aiutato davvero è stato parlare con quel sacerdote”.
Dopo la riconciliazione, Kobe la moglie fondarono la Kobe and Vanessa Bryant Family Foundation (KVBFF), che assiste i senzatetto e aiuta giovani in difficoltà, soprattutto attraverso la pratica sportiva.
Negli ultimi anni di attività il campione spiegava: “La mia carriera sta rallentando. Alla fine non voglio guardare indietro e dire solo: ‘Beh, ho avuto una carriera di successo perché ho vinto tanti campionati e segnato tanti punti’. C’è qualcos’altro da fare”. Pensando alle persone senza casa, diceva: “Nella vita, tutti commettiamo degli errori, e rimanere indietro e permettere a qualcuno di vivere in quel modo lavandosene le mani non è giusto”.
Nella sua ultima partita, il 13 aprile 2016, Kobe, all’età di trentasette anni, segnò la bellezza di sessanta punti per i suoi Los Angeles Lakers contro gli Utah Jazz. Qualcosa di stratosferico, la ciliegina su una torta fatta di record: cinque volte campione NBA (National Basketball Association, la principale lega professionistica di basket negli Usa), due volte campione olimpico, diciotto volte membro della squadra All Star, terzo miglior realizzatore nella storia dell’NBA.
Record che tuttavia appaiono ben poca cosa rispetto alla partita giocata in famiglia e vinta grazie alla forza della fede, dell’amore e del perdono.
“Non dirò che il nostro matrimonio è perfetto”, dichiarò Kobe in un’intervista del 2015. “Combattiamo ancora, come ogni coppia di sposi. Ma sai, la mia reputazione di atleta è che sono estremamente determinato e che lavorerò sodo. Come potrei farlo nella mia vita professionale se non fosse così nella mia vita personale, quando ciò colpisce le mie figlie? Non avrebbe alcun senso”.
Aldo Maria Valli